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Lo stigma delle mestruazioni

  • Immagine del redattore: Gloria Ferrari
    Gloria Ferrari
  • 21 gen 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

In Germania è la settimana della fragola, in Francia le Cascate del Niagara, in Danimarca i pittori sulle scale. E poi periodo del mese, problemi femminile, zia Flo.


Perché non chiamarle mestruazioni e basta?


Seppur rappresenti una funzione biologica necessaria, sperimentata da metà della popolazione mondiale, esistono ancora più di 5000 modi diversi per chiamare le mestruazioni senza chiamarle mestruazioni.

La vergogna e la necessità di dire qualcosa senza dirla per davvero rientrano in quello che potremmo definire tabù. Ciò che si vede, si sente in giro e si legge rappresenta spesso la punta di un iceberg molto più grande, nascosto sotto la superficie. Evitare di chiamarle mestruazioni o di parlarne in pubblico, ad esempio, limita la circolazione di informazioni che potrebbero essere utili a tutti.




Di fatti, c'è una significativa mancanza di risorse disponibili per l'educazione sanitaria sul ciclo mestruale, che alimenta miti e leggende popolari. Uno studio del 2014 nella baraccopoli di Mathare Valley a Nairobi ha rilevato che oltre il 75% delle ragazze non aveva idea di cosa fossero le mestruazioni prima di avere il primo ciclo. Per questo si sono sentite ansiose, confuse e in un perenne stato di vergogna.


Il gruppo di lavoro che sta dietro alla nascita dell’app per la salute delle donne Clue, ha intervistato 90.000 persone provenienti da 190 paesi diversi per scoprire come il mondo pensa alle mestruazioni. I risultati dimostrano che la maggior parte di loro conserva effettivamente stigmi negativi sulle mestruazioni. Di conseguenza, chi ha il ciclo può sentirsi interamente inglobat* nelle stesse infelici concezioni e faccia fatica a parlarne o, semplicemente, a chiamarle col nome proprio che gli appartiene. Inconsapevolmente, infatti, quando siamo in gruppo e abbiamo bisogno di un assorbente, tendiamo a chiederlo quasi sussurrando, quasi si trattasse di qualcosa che non dovremmo pronunciare. Lo stesso avveniva tra i banchi di scuola, quando scambiarsi un Tampax senza farsi notare diventava più critico della fuga in banca dopo una rapina.




Il 17% delle donne perde anche solo un giorno di lavoro o di scuola proprio per questo motivo: per evitare di doversi nascondere. L’86% percento delle partecipanti al sondaggio Clue dice di sentirsi a proprio agio a parlare con altre donne delle mestruazioni, mentre solo il 34% è disponibile a parlare con familiari maschi, colleghi o compagni di classe. Secondo la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia, quando le ragazze perdono la scuola a causa del ciclo, rischiano di rimanere 145 giorni indietro rispetto ai loro colleghi maschi. Escludendosi (non per loro volere, ma per le concezioni che la società ci impone senza accorgercene) da qualsiasi attività a causa del ciclo, si rafforza la percezione dell’inferiorità della donna e delle diverse opportunità che questa ha rispetto all’uomo.

La vergogna persiste fino all'età adulta: circa il 20% delle donne britanniche intervistate da ActionAid non riesce, in generale, a parlare del proprio ciclo, o a definirlo facile o difficile, con molti crampi o meno.



Gli antropologi sostengono che non esiste un solo motivo per cui effettivamente si sia arrivati a stigmatizzare così tanto le mestruazioni. È più corretto, invece, parlare di contesti culturali e ideologie in grado di influenzare il genere umano così tanto in profondità. Ad esempio? La religione. In testi come il Corano e la Bibbia, "impuro" è un termine usato per descrivere le donne mestruate. Agli uomini, poi, viene anche detto di evitare le donne durante il ciclo finché non sono di nuovo "pulite". Più in particolare, nella Bibbia si legge “... nella sua impurità mestruale; lei è impura ... chiunque tocchi ... sarà impuro e si laverà le vesti, si laverà nell'acqua e sarà impuro fino alla sera "Levitico 15.


In Nepal una visione di questo tipo è presa alla lettera. L’8 gennaio del 2018, una studentessa di 22 anni, Gauri Kumari Budha, è stata trovata morta nella capanna di fango senza finestre dove aveva trascorso la notte: è rimasta soffocata dal fumo di un fuoco che aveva acceso per riscaldarsi. Perché si trovava lì? Era stata allontanata da casa e isolata in modo forzato perché aveva le mestruazioni. In molte parti del mondo è fortemente presente la convinzione che le donne portino sfortuna quando hanno le mestruazioni e che possano contaminare gli altri. Per questo non si lascia che tocchino il cibo, le immagini religiose o che si lavino all’interno delle case. Le prime società pensavano che il sangue mestruale avesse effetti tossici e patogeni, una credenza smentita non molti secoli fa.




Il fatto che la Scozia, ad esempio, sia stata la prima nazione al mondo a garantire a tutti gli individui l'accesso ai prodotti mestruali, prescindendo dal reddito, sottolinea l'importanza dell'educazione alla salute mestruale nelle scuole e promuove gli sforzi per smantellare i tabù sulle mestruazioni. Tantissime altre nazioni, invece (anche le più progressiste come New York) impongono tasse molto alte sui prodotti destinati al ciclo mestruale: molto più alte di quelle poste sul trattamento per la ricrescita dei capelli e i preservativi. Prodotti, dunque, prettamente destinati agli uomini. Prima della Scozia, il Kenya ha fornito prodotti gratuiti nelle scuole per anni.


Cosa possiamo fare per sdoganare (finalmente) le mestruazioni?


Ad esempio, si può partire offrendo un’educazione sanitaria per tutti, che cominci dalla scuola primaria e comprenda anche i ragazzi. La stessa educazione\formazione che spetta agli insegnanti (o agli allenatori, per esempio). Nello Stato di Palestina, l'UNICEF ha collaborato con i partner nella Striscia di Gaza per sviluppare un'applicazione per telefoni cellulari per promuovere l'igiene e la gestione del ciclo mestruale. Consiste in una serie di giochi e quiz volti a sfatare false credenze.


L’accesso a prodotti adeguati, sicuri e sostenibili dal punto di vista ambientale che sono liberamente disponibili per tutte le persone che hanno le mestruazioni e includono una gamma di opzioni adatte alle esigenze di tutti i tipi di corpi, potrebbe essere una seconda soluzione.


E poi c’è il supporto, che dovrebbe spingere le persone a parlare di mestruazioni, parlare di come si sentono a riguardo. Il tutto ne faciliterebbe la normalizzazione. Come detto in precedenza, lo stigma delle mestruazioni ha delle matrici multiple. Per venirne fuori, dunque, è necessario lo stesso approccio: agire su più fronti, trasversalmente, includendo tutti i settori della nostra società.


È bene tenere sempre a mente quello che dice Isabel Allende nel suo “La casa degli spiriti”:

Quando era piccola, sua nonna le aveva insegnato che le cose proprie delle funzioni umane erano naturali e poteva parlare delle mestruazioni come della poesia ma, più tardi, a scuola, aveva imparato che tutte le secrezioni del corpo, meno le lacrime, sono indecenti

 

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