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  • Immagine del redattoreGloria Ferrari

Il maschilismo si nasconde in tutto quello che siamo

Camminando attraverso viali alberati e giardini dovremmo accorgerci che esistono due tipi di piante: quelle che producono semi e frutti e quelle che rilasciano un grosso quantitativo di polline. Se noi non ci facciamo caso, negli Stati Uniti, ad esempio, questa distinzione fa davvero la differenza. Molti cittadini, infatti, si lamentano delle bacche e frutti marci che, cadendo dagli alberi, sporcano inevitabilmente le auto posteggiate sotto di essi o i giardini delle case.

Cosa succede in questi casi?



Abbiamo affibbiato un genere di appartenenza anche alle piante (forse per discriminarle meglio). Quelle che fruttificano sono generalmente indicate come femminili, le altre, invece, maschili. Capita che molti giardinieri selezionino per la città solo piante maschili, oppure piantino alberi che non sono in grado di generare frutti. Esiste un nome per identificare anche questo tipo di fenomeno: sessismo (o maschilismo) vegetale.

Prediligendo alberi maschili e quindi da polline, si verificano due fenomeni. Il primo riguarda le allergie. Chi ne soffre si ritrova letteralmente travolto da una bufera di polline vagante, simile a neve fresca. Il secondo è più grave ancora. Gli alberi, com’è noto, hanno la capacità di pulire l’aria dagli agenti inquinanti, assorbendo determinate sostanze. Le stesse sostanze vengono poi ridiffuse nell’ambiente dagli alberi che li hanno assorbiti. In particolare gli alberi maschi diffondono gli inquinanti attraverso il loro polline (70mila granelli per metro cubo d’aria). Al contrario, gli alberi femmina catturano anche il polline diffuso dai loro maschi, e gli inquinanti che essi ridiffondono sono contenuti in semi innocui che cadono a terra.


Parlare del maschilismo (in questo caso anche in natura) non significa santificare il femminile. Il fatto che sia una donna a scriverne non vuol dire averne compromesso il contenuto già in partenza. Si tratta di analizzare le relazioni che intercorrono tra i due generi e soffermarsi sugli aspetti che (da entrambe le parti) non sono accettabili in un rapporto reciproco.

Da dove nasce l’idea della supremazia maschile? Perché continua ad agire indisturbato? Cosa saremmo se vivessimo in un paese con meno maschilismo?

Se lo sono chiesti anche i registi Gustav Hofer e Luca Ragazzi, che nel loro documentario “Dicktatorship” girato attraversando l’Italia indagano le ragioni del fenomeno nel nostro paese. "Ogni cosa qui sembra ruotare intorno all'organo genitale maschile. Se prendi un quotidiano le firme in prima pagina sono quasi tutte di uomini. Quante sono le direttrici donna? Se guardiamo la foto del consiglio superiore della magistratura ci accorgiamo che manca qualcosa". Insomma, per loro è come se ogni piega della nostra società fosse intrisa di sano maschilismo, senza che nessuno (o quasi) riesca a rendersene conto.



Molti uomini dichiarano di amare e rispettare le donne, di voler condividere con loro pari diritti e pari doveri. Ma anche il maschio non maschilista, se in un folto gruppo di maschilisti, può diventare loro complice o semplicemente tacere dinanzi ad atteggiamenti sconvenienti. Per il maschilista è importante che il suo ruolo sia ben distaccato e distinto da quello della donna, perché, fondamentalmente, è un insicuro. Ha bisogno di ridurre la figura femminile ad oggetto, per poterla dominare meglio (è più facile relazionarsi ad un oggetto che ad una persona).

“La mascolinità tossica è la cultura. È il modo in cui noi (uomini e donne) alleviamo i bambini piccoli per pensare a sé stessi come emotivamente e fisicamente difficili, intrinsecamente diversi dalle bambine, potenti e forti ", ha detto la dottoressa Isabel Molina-Guzmán. Questa idea si fortifica “attraverso i media, che sono prevalentemente prodotti da uomini bianchi, etero. E poi nel nostro cinema, tv, videogiochi, cultura politica e religione”.



Anche nella Genesi, il momento della creazione della donna è frutto di un pensiero maschilista. Secondo la narrazione biblica, Dio prese una costola ad Adamo quando si rese conto che questi si sentiva solo e con tale costola creò la prima donna. Quest’ultima, dunque, sarebbe servita a tenere compagnia all’uomo, il quale, inoltre, senza di lei non sarebbe mai stato cacciato dall’Eden. È la donna, infatti, ad essere caduta nel tranello di satana. La musica non cambia nel Nuovo Testamento. Gli apostoli sono maschi, come la maggior parte dei personaggi che circondano Gesù. L’unica donna ad avere un minimo di rilevanza è Maria, probabilmente presa in considerazione solo in quanto “grembo contenitore di Cristo”.

"Il machismo tossico è dannoso sia per gli uomini che per le donne perché non consente agli uomini di provare tutta la loro gamma di emozioni", dice Iris Lopez, docente di sociologia. "Quando a un bambino viene detto di non piangere perché gli uomini non piangono, questo processo è dannoso perché può indurre gli uomini a spegnere le proprie emozioni e allontanarsi da se stessi e dagli altri”, inficiando la qualità della loro stessa vita.



Nel corso della storia, dei miti e delle leggende, la donna è spesso associata a valori negativi: si pensi, per esempio, alla vicenda di Amore e Psiche. Per lei la curiosità di vedere l’amato in faccia risulta fatale. Insomma, una donna capricciosa in grado di distruggere la felicità raggiunta, per puro vizio. Allo stesso modo Venere, la madre di Amore,è invidiosa della bellezza di Psiche e possessiva nei confronti del figlio. Minerva, una delle divinità femminili più complessa è descritta come dotata di grande sapienza, strategia e forza, qualità attribuite solitamente agli uomini. Inoltre è la dea della guerra, anche questa attività riservata solo agli uomini. Ma non a caso, il mito racconta che sia nata direttamente dalla testa di Giove (un uomo): una donna senza precedenti che nasce direttamente da un individuo di sesso maschile.



Se invece indaghiamo nella storia, alcuni esperti reputano giusto attribuire la nascita del maschilismo all’inizio dell’attività agricola. La donna, in particolare in gravidanza, risultava inadatta a qualsiasi lavoro di fatica pesante. Tuttavia coltivare i campi e prendersene cura era indispensabile per vivere. Dunque, in quell’ottica, chi portava a casa del cibo meritava una considerazione più alta.

Questo tuttavia non è vero in tutte le società. Molte di esse, infatti, basavano il sostentamento sulla pesca, non sulla coltivazione (ad esempio, svedesi o finlandesi). Qui le donne hanno avuto un ruolo molto più importante: si occupavano di sostentare la comunità mentre gli uomini mancavano dal villaggio per lunghi periodi per portare avanti battute di caccia o spedizioni marittime.

Riconoscere l’esistenza di tali fenomeni non vuol dire essere femministe. Prendere coscienza che alcune situazioni sono esistite ed esistono prescinde dal genere d’appartenenza. Persino il linguaggio ne è testimonianza: “La lingua che si usa quotidianamente è il mezzo più pervasivo e meno individuato di trasmissione di una visione del mondo nella quale trova largo spazio il principio dell’inferiorità e della marginalità sociale della donna”, dice Elena Marinucci, Presidentessa della Commissione Nazionale per la parità tra uomo e donna.



Secondo la ricerca condotta dalla Commissione, la lingua – soprattutto nel modo in cui viene realmente praticata dalla maggioranza dei parlanti- è un binario su cui viaggia il pensiero. La lingua italiana, come molte altre, è basata su un principio androcentrico. Infatti, “l’uomo è il parametro, intorno a cui ruota e si organizza l'universo linguistico. Esempio paradigmatico: la stessa parola uomo ha una doppia valenza, perché può riferirsi sia al maschio della specie sia alla specie stessa, mentre la parola donna si riferisce soltanto alla femmina della specie”.

Catapultato nel concreto, nei dibattiti in tv, ad esempio, questo si trasforma in un teatrino che fa più o meno così:

-Dottor Rossi (riferito ad un uomo politico, imprenditore, medico), lei cosa ne pensa….

-Signora\nome di battesimo (riferito ad una donna politica, imprenditrice, medico), lei cosa ne pensa…

Come ha scritto Oscar Wilde in “L’importanza di chiamarsi Ernesto”,


Il fatto è che sei caduta recentemente, Cecily, nella cattiva abitudine di pensare da sola. Dovresti smettere. Non è del tutto femminile... agli uomini non piace.

 

Crediti foto: Pixabay\Unsplash


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