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  • Immagine del redattoreGloria Ferrari

Perché perdere gli Indios significa perderci

"Se perdiamo gli indios dell'Amazzonia, perdiamo vite umane, trecentomila persone indifese, esposte deliberatamente al contagio, un autentico crimine contro l'umanità. Ma perderemmo molto di più. Perderemmo noi stessi. La nostra storia. Le nostre origini."

Non è facile contraddire il pensiero di Sebastião Ribeiro Salgado, storico fotografo dell’Amazzonia. Perdiamo noi stessi dice, le nostre origini, se ci ammazzano gli Indios. Perché ne è così convinto? Cosa c’entriamo noi con loro?




La prima vittima di Coronavirus registrata in quelle terre così apparentemente lontane si chiama Alvanei Xirixana, ha 15 anni, ed è stato ricoverato per una settimana in terapia intensiva a Boa Vista, prima di morire. Il villaggio in cui vive, Rehebe, si trova lungo il fiume Uraricoera, luogo prediletto dai ricercatori di oro. Molti si sono chiesti da dove il ragazzo avesse potuto contrarre il virus, vivendo così lontano da centri abitati. Non poteva essere stato uno di loro, non poteva essere stato il padre, un fratello, un contadino. Nessuno si muove da lì, da Rehebe. L'unica conclusione a cui sono arrivati è che il virus arriva da fuori, da qualcuno che è entrato clandestinamente nei loro territori. Un cacciatore, ad esempio, oppure un cercatore di pietre preziose. In sintesi, individui interessati esclusivamente a quello che gli indios possiedono.


D’altronde, la storia si ripete (o meglio, non si è mai interrotta). Tutto l’arco temporale della vita dei popoli indigeni del Brasile è segnato da violenze, schiavitù, malattie e genocidio. Quando nel 1500 arrivavano i primi coloni europei, il territorio brasiliano, come lo conosciamo oggi, era abitato da circa 11 milioni di Indiani. Parliamo di quasi 2000 diverse tribù, uniche nella loro specie. Agli europei è bastato un secolo per sterminare il 90% di loro. Le malattie che i coloni si erano portate appresso si sono rivelate letali per gli abitanti del posto. Oltre all’influenza, al vaiolo e al morbillo, ad avere ucciso gli Indios è stata una malattia ancora più grande, a cui gli europei non sanno rinunciare: la brama di potere e denaro. Da quel momento, dopo oltre 500 anni dal primo contatto, i popoli indigeni continuano a morire e perdere territorio per gli stessi motivi.



Una volta, il portavoce di una piccola tribù chiamata Enawene Nawe ha detto: “Non sapevamo che i Bianchi si sarebbero presi la nostra terra. Non sapevamo nulla della deforestazione. Non conoscevamo le leggi dei Bianchi.”

Ad oggi, in Brasile rimangono ancora in piedi poco più di 300 tribù, per un totale di quasi 900.000 persone, lo 0,4% della popolazione del paese. Il governo ha ufficialmente riconosciuto alla popolazione indigena 690 territori. Tradotto, parliamo del 13% del suolo brasiliano, la maggior parte del quale si trova in Amazzonia.

Il fatto che le forze governative fossero concentrare a far fronte all’emergenza Coronavirus ha dato il via libera a cercatori d'oro illegali e agli agricoltori che disboscano senza essere autorizzati. Complice la diminuzione dei controlli.


Non ha aiutato neppure la politica adottata dal Presidente Bolsonaro, che prima ancora della pandemia aveva revocato l'incarico a tutti i tecnici del ministero dell'Ambiente sostituendoli con militari di sua fiducia.

Ha eliminato la legge che puniva i responsabili di deforestazione.



Che cosa rischiamo di mandare all’aria, di perderci per strada?


Se scompaiono gli Indios, con loro perderemo per sempre quel legame spirituale che hanno instaurato con la madre terra. Una relazione che hanno espresso attraverso le storie tramandate oralmente, nei miti, nei rituali che accompagnano, ad esempio, un bambino verso l’età adulta. Senza gli indigeni, soccomberebbero più di 300 lingue diverse, modi di comunicare che il contatto diretto con la natura, la gestualità e i sentimenti gli ha permesso di creare. Senza di loro, scomparirebbero preziosi testimoni in grado di mostrare che, prima di industrializzarci e globalizzarci, sapevamo vivere di quello che producevamo e farcelo bastare. Salgado li ha definiti “le nostre origini”, probabilmente dovremmo chiamarli anche “la nostra fine”. Per dirlo con le parole di un’antica tribù,


“Gli alberi sono le colonne del mondo, quando gli ultimi alberi saranno stati tagliati, il cielo cadrà sopra di noi”

 

Crediti foto: Pixabay


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