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  • Immagine del redattoreGloria Ferrari

In quella macchina con Falcone c'era anche sua moglie, Francesca Morvillo

“Francesca era una persona molto riservata, però quando entrava in sintonia con qualcuno era meravigliosa perché aveva un carattere brioso e allegro. Era una donna piena di vita, e di una dolcezza veramente incredibile, quando sorrideva lo faceva con tutta l’anima... Mi accade di pensare che noi donne quando ci avviciniamo allo studio giuridico, o alla professione di magistrato, oltre ad acquisire una competenza tecnica, portiamo anche la capacità di sentire le vicende umane, di entrare nel vissuto della persona. E ciò riesce meglio alle donne che agli uomini... Lei è stata moglie di Giovanni Falcone come conseguenza del suo modo di essere. Sentiva la giustizia come la bellezza della società e quindi ha fatto di tutto perché questi ideali potessero realizzarsi, anteponendo un ideale anche a sé stessa ed alla sua vita". Sono le parole con cui Amalia Settineri, magistrato presso la Procura per i minorenni a Palermo, descrive la collega e amica Francesca Morvillo.



C’era anche lei nella macchina che fu fatta saltare in aria il 23 maggio del 1992, alle 17.58, con una carica di cinque quintali di tritolo lungo la A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, vicino a Palermo. Nell’attentato morirono insieme a lei il marito Giovanni Falcone e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. A porre fine alla loro vita la mano di Giovanni Brusca, la stessa mano colpevole di aver condannato a morte negli anni più di 100 persone. Non a caso, l’esponente di Cosa Nostra era soprannominato in lingua siciliana u verru (il porco), oppure lo scannacristiani, per la sua ferocia.

Francesca non era in quella vettura per caso. Sapeva perfettamente che prima o poi la mafia si sarebbe portata via il suo Giovanni e con lui, anche lei. Non morì subito. Per prima cosa, fu trasportata d’urgenza all’ospedale Cervello, per poi essere trasferita al Civico, nel reparto di neurochirurgia. “Dov’è Giovanni?”, ebbe il tempo di dire, prima di essere dichiarata morta alle 23 dello stesso giorno, a causa delle gravi lesioni interne riportate. Il suo ultimo pensiero al grande amore, Giovanni, a cui era legata da un forte senso di giustizia che la portò a non lasciarlo mai.



“Francesca è morta perché era accanto a Giovanni, lei non era l’obiettivo della mafia, è morta perché compagna di Giovanni, ma il punto è che non è casuale la sua presenza nella vita di Giovanni Falcone. È una scelta che nasce dal suo modo di essere, Francesca era accanto a Giovanni perché ne condivideva in pieno gli ideali e gli obiettivi. E questi erano anche i suoi a prescindere da Giovanni”. Lo dice Amalia.

La scelta di vita che Francesca aveva fatto era priva di indugi. Mai un ripensamento. D’altronde ci vuole fermezza d’animo come la sua per battersi nella società con l’intento di migliorarla, perché “Era convinta che la vita dovesse essere spesa affinché dopo rimanesse del nostro passaggio anche una briciola di positività”.


Francesca divenne magistrato il 10 marzo 1971 con l’incarico di giudice del Tribunale di Agrigento. Fu una delle prime, in Italia, a vincere il concorso in magistratura, finalmente una donna. Da quel giorno le si aprì davanti una carriera brillante, in grado di risplendere di luce propria a prescindere dall'incontro con Falcone. Dopo pochi anni fu nominata sostituto procuratore della procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo. Francesca era totalmente immersa nel suo lavoro. Riusciva a mantenere un impegno rigoroso nella difesa dei minori pur mescolandolo spesso con un sentimento d’affetto, lo stesso che una madre dà ad un figlio. Atteggiamento che mantenne costante, anche quando aveva a che fare con ragazzi provenienti da famiglie mafiose. Pur vivendo praticamente a stretto contatto con bambini ed adolescenti, lei e Giovanni non ebbero mai figli perché come le disse un giorno Falcone “non si fanno orfani, si fanno figli”. Divenne la madre dei ragazzi che prendeva a carico, senza averli partoriti, impiegandoci, per questo, il doppio dell’amore.



Francesca e Giovanni si sposarono in gran segreto nel maggio 1986. Entrambi sapevano che solo due come loro sarebbero stati in grado di capirsi vicendevolmente. Falcone non era un uomo come tanti e capiva perfettamente che solo una donna come la Morvillo, morbosa ammiratrice della giustizia, potesse sopportare tutto quello che da lì a poco sarebbe successo.

In un’intervista Giuseppe Ayala, amico intimo della coppia ha raccontato alcuni loro aneddoti quasi a ricordarci che insomma, si tratta pur sempre di un uomo ed una donna che si sono amati.


“Non si scambiavano mai effusioni in pubblico. Infatti, io, talvolta, protestavo: ‘E datevelo un bacio’. Loro sorridevano, un po’ imbarazzati. Ma ricordo le occhiate, gli sguardi che testimoniavano, oltre l’amore, una sintonia e una comunanza assolute. Giovanni era fatto così. Lo prendevo in giro: ‘Il self control non lo hanno inventato gli inglesi, sei tu. Francesca era splendida, riservata e geniale. Un magistrato brillante. Aveva una voce che non dimenticherò mai, femminile, ma non sdolcinata. È vero che parlava poco e ascoltava di più. Ma non era un atteggiamento di passività. Piuttosto, preferiva osservare attentamente”.



Un amore che si nutriva di diverse forme di sentimento e, per questo, inesauribile. Gli amici erano convinti che sarebbero invecchiati insieme. Un amore per la vita, trascorsa, però, secondo giustizia, rispetto ed uguaglianza. L’unico compromesso a cui non avrebbero mai rinunciato. Un amore per gli altri, immenso. Ne esiste forse una forma più grande?


C’è una cosa che nessuno può cancellare, in nessun modo, anche dopo 28 anni e dopo tutti quelli che verranno: il coraggio. Non sono eroi, Giovanni, Francesca, Paolo, non sono degli eroi. Sono uomini che non hanno avuto paura di amare. Che si sono amati, prima di tutto, per essere in grado di amare tutti gli altri. Lo stesso amore di cui è intriso l’ultimo messaggio che Francesca ha lasciato al marito, e che lui non fece mai in tempo a leggere. Un foglietto di carta, saltato fuori dopo molti anni dalla loro morte e che recita:


"Giovanni amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore”,
Francesca


 

Crediti foto: Wikipedia

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