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  • Immagine del redattoreGloria Ferrari

Non è un paese per donne

Lo scrittore americano Cormac McCarthy dice che il suo “Non è un paese per vecchi”. Non si doveva vivere così male da quelle parti, almeno non come si vive nel nostro che “Non è un paese per donne”.


Nella classifica denominata “Il miglior posto in cui essere una donna”, l’Italia è al 28esimo posto. Poteva andarci peggio, è vero, ma poteva andarci pure meglio.


Si comincia dal linguaggio, con affermazioni del tipo “Lascia stare, sono cose da maschi”, oppure “Sei acida! Ma hai il ciclo?”, si passa da “Essere madre è la cosa più bella che possa succedere nella vita di una donna” e si arriva a “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”. Tutte frasi che, seppur dette spesso senza pensarci troppo su, stanno a dimostrare la complessità del fenomeno, che tocca diversi ambiti (da quello lavorativo a quello famigliare, da quello sentimentale a quello estetico).



La nostra società ha quasi sempre privilegiato la figura maschile, esaltandone il suo operato e considerandolo a lungo come l’unico degno di essere retribuito. Per le donne, invece, esistono impieghi di serie A e di serie B. Seppur esistano lavori che a tutti gli effetti sono da considerare degli impieghi a tempo pieno (come ad esempio le faccende domestiche) non spetta loro alcun salario. Per quale motivo? Lo Stato maschilista percepisce la manutenzione delle mura domestiche come un obbligo, un dovere coniugale. Perché mai lo Stato dovrebbe stabilire una remunerazione per la casalinga, quando fa esattamente quello che le tocca fare? Le donne che non lavorano non hanno una posizione sociale. Sono cose. E come cose, possono essere usati e maltrattati a piacimento”, ha detto Boldrini a Politico.



Di recente ci è sembrato che qualche piccola cosa potesse mutare, almeno in parte. Ad esempio, nelle ultime elezioni, 334 donne entravano a far parte del parlamento, distribuite nei suoi due rami. Un accadimento che non merita troppi festeggiamenti se si pensa che, come dimostrano i dati raccolti nel 2019 da IlSole24ore, su 193 paesi solo 10 hanno una donna come capo di governo. Di certo non va meglio nella politica italiana, che si vede risucchiata in un vortice di contraddizioni e di continua lotta tra il dire e il fare.

Mentre Matteo Renzi lanciava il suo nuovo partito, Italia Viva, dichiarandolo "una casa per il femminismo", dall’altra Matteo Salvini durante un evento sventolava su un palco una bambola gonfiabile, definendola “la sosia di Boldrini”. Il problema di fondo è la quasi totale assenza da parte delle istituzioni (uomini e donne indistintamente) di volontà di far passare una legislazione necessaria, specifica sui diritti delle donne (indipendentemente dalla razza, religione o etnia).



Per la Boldrini non era la prima volta. Nel 2019 si è concluso il processo nei confronti del sindaco leghista Matteo Camiciottoli, ritenuto responsabile del reato di diffamazione. Il primo cittadino aveva infatti pubblicato su Facebook un post in cui si augurava che gli autori dello stupro avvenuto in spiaggia a Rimini nell’estate del 2017 fossero mandati ai domiciliari a casa di Laura Boldrini così le avrebbero fatto ritornare il sorriso. La sentenza ha previsto per Camiciottoli una multa di 20.000 euro, denaro destinato poi ad associazioni in difesa dei diritti delle donne. D’accordo sul risarcimento, che ha fatto discutere un po' su tutti i giornali. A nessuno, invece, è importato di chiedersi come la Boldrini possa essersi sentita davanti all’augurio di subire una violenza fisica.


Anche per questo i tassi di denuncia di violenza sessuale fisica o verbale in Italia sono molto bassi. Secondo gli esperti percentuali di questo tipo non rispecchiano assolutamente la realtà dei fatti. Le segnalazioni sono così “ridotte” non perché non ci siano effettivi casi di violenza, ma perché la fiducia nei confronti delle istituzioni è al di sotto di quanto dovrebbe essere. A causa delle risorse finanziarie limitate dedicate alle cause di stupro o alla poca diffusione dei centri di riferimento per la violenza sessuale per la protezione e il sostegno alle vittime, quest’ultime ritengono inutile denunciare un abuso.



Basti pensare che quasi la metà delle donne adulte italiane ha subito qualche forma di molestia sessuale, secondo l'Istat e che solo 1,4 milioni di loro (poco meno del nove percento) abbiano riferito di aver subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul lavoro.

Per migliorare il divario tra generi, smetterla di vedere l’uomo imprenditore e la donna segretaria, smetterla di vedere l’uomo padrone e la donna oggetto d’arredo, l’istruzione e le qualifiche diventano estremamente importanti. Solo il 28% delle posizioni dirigenziali nelle aziende private italiane è ricoperto da donne, mentre il 73% di loro nel 2017 si è dimesso per occuparsi della famiglia (spesso non per libera scelta). E nel caso in cui entrambi, nella coppia con figli a carico, abbiano un impiego, le donne dedicano in media il 22% del proprio tempo “libero” al lavoro familiare, mentre per gli uomini la percentuale scende al 9%. Stando ai dati, il divario di genere nell'occupazione italiana è di circa il 18%, uno dei dati più bassi in Europa. Basti pensare che in media, negli altri paesi, il 60% delle donne ha un’occupazione, mentre in Italia solo il 45% (considerando che molte di queste occupazioni sono part-time).



Fino a poco tempo fa, meno del 34% dei membri del consiglio di amministrazione delle società quotate erano donne. Poi, l'Italia ha introdotto una normativa che prevede l’inclusione nelle amministrazioni di almeno il 33% di donne. Questo elemento si ricollega ad uno studio secondo cui i due terzi delle persone intervistate (prese da 27 paesi diversi) sostengono che non ci potrà essere parità di genere senza il supporto concreto degli uomini. Secondo l’agenzia di controllo dei board Equilar, la parità di genere nei consigli di amministrazione in Canada sarà raggiunta nel 2048. Se le previsioni non dovessero cambiare, l’Italia avrà un bel po' di anni davanti a sé per riflettere, magari tra un tweet d’odio e l’altro (Per Vox Osservatorio Italiano sui Diritti, che stima ogni anno “Le Mappe dell’Intolleranza, le donne sono le principali vittime di tweet di odio. 326 mila dei 537mila tweet negativi del 2017-2018 sono contro di loro e 73.000 contro i migranti, per intenderci).


 
Immagini: Pixabay 

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