In Cina si impollinano i fiori a mano perché non ci sono più api
- Gloria Ferrari
- 20 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Esiste un posto in Cina dove non ci sono più api. Per aria non si sente alcun ronzio, non esiste il miele di produzione locale e nessuno ha paura di essere punto da insetti gialli e neri. Da alcuni anni nelle piantagioni di Hanyuan, nella provincia di Sichuan in Cina, i pesticidi hanno compromesso per sempre la vita degli insetti. Avvinghiati ai rami degli alberi di mele, gli agricoltori del villaggio si esibiscono in acrobazie davvero insolite. D'altronde, fare quello che un tempo era compito delle api richiede una certa elasticità fisica.

Crediti foto: Kevin Frayer
Li chiamano “gli impollinatori” o “uomini-ape” perché quello che a tutti gli effetti tentano di fare è sostituirsi alle api, impollinando manualmente gli alberi da frutto. Per farlo, utilizzano una lunga asta alla fine della quale è attaccato un filtro. Quest’ultimo viene cosparso di polline raccolto dai fiori di altri meli, leggermente essiccato e che gli agricoltori tengono in una piccola scatola appesa attorno al collo. In altre parti della Cina capita anche che i proprietari terrieri acquistino polline da zone molto distanti dalla loro con il rischio, però, di incappare in polvere di scarsa qualità. Infatti, il polline può diventare infertile in poco tempo: a volte è sufficiente trasportarlo da paese a paese per renderlo inutilizzabile. Il calendario prevede che tale rituale si ripeta in maniera serrata per circa due settimane, dalla metà alla fine di aprile. Tuttavia, nonostante i cinesi si siano sforzati di trovare una soluzione al problema delle api, la produttività ne ha risentito e, di conseguenza, il mercato intero. Si tratta di un lavoro che richiede molta fatica, tempo ed energia. La paga degli impollinatori si aggira attorno ai 9 euro al giorno, motivo per cui in alcune parti della Cina si crede che l’impollinazione umana costi meno che affittare api per farlo. C’è un fattore da tenere a mente, però: gli esseri umani non sono in grado di capire e approcciarsi ad un fiore come farebbe un’ape.

A cos'è dovuta la drastica diminuzione delle api?
Un buon modo di sbarazzarsi delle api è distruggere il loro habitat naturale, fatto di foreste e alberi, per far posto a costruzioni umane. A questo si aggiunge lo spropositato uso di pesticidi (in particolare di neonicotinoidi), che rende la terra meno fertile e inospitale per gli insetti. Il paradosso dell’utilizzo di prodotti chimici da parte degli agricoltori è la motivazione che li spinge a farne uso. Essi, infatti, ne utilizzano in abbondanza con la speranza di eliminare gli insetti che possono danneggiare il raccolto, compromettendolo. Ma quando si parla di “eliminare tutti gli insetti” le api sono incluse. I ricercatori affermano che anche piccole quantità di veleno, seppur non mortali, indeboliscono le api, esponendole fortemente al rischio di contrarre malattie.

In Brasile, ad esempio, l’utilizzo di pesticidi ha provocato la moria di oltre 500 milioni di api nei soli ultimi mesi. Secondo la Fao, 71 delle 100 specie di colture (che forniscono il 90% di prodotti alimentari) si riproducono grazie agli insetti e, in particolare, alle api. L'impollinazione è essenziale per la specie umana, perché, oltre a permettere una produzione più ampia, consente una maggiore varietà e qualità di frutti, noci e semi. Saremmo in grado di fare a meno del caffè? Di fragole, pomodori e tutto quello che portiamo a tavola e diamo per scontato? In un’intervista, l’apicoltore Mauro Veca mi ha raccontato che la situazione è critica da molto tempo. “Il fatto è che troppa chimica riduce la biodiversità”, e, per questo, sarebbe necessario ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Le api, secondo la sua esperienza, sono sempre più deboli e, quindi, meno in grado di impollinare efficacemente. “Quello che possiamo fare noi apicoltori è distribuire gli alveari in tanti luoghi diversi per permettere il servizio di impollinazione”. Tuttavia, se non si riduce l’utilizzo di prodotti chimici sulla terra, si rischierebbe di tornare al punto di partenza, facendo ammalare anche le “nuove” api.

Nell’Unione Europea gli alveari sono diminuiti di oltre il 50% negli anni, secondo Greenpeace. Negli Stati Uniti, invece, solo nel 2019 gli apicoltori hanno assistito alla maggior perdita di api di sempre, fino al 90%, secondo Dan Rather Report. In California, ad esempio, l’industria delle mandorle sta affrontando una crescita esponenziale senza precedenti. Basti pensare che nel 2000 gli alberi di mandorle occupavano 500.000 acri, per poi raddoppiare nel giro di pochi anni. Solo nel 2018 sono state prodotte 1 miliardo di tonnellate di mandorle, esportate in tutto il mondo. Per far fronte alla crescente richiesta, gli agricoltori hanno bisogno di un grosso quantitativo di api. Per questo, durante la stagione della fioritura, i proprietari terrieri acquistano alveari dagli apicoltori, che viaggiano da un sito all’altro portandosi appresso le api.

I continui spostamenti, i lunghi viaggi e lo stress causato dalla continua sollecitazione rivoltagli, annienta il sistema immunitario di questi insetti. Gli apicoltori vedono morire le proprie colonie albero dopo albero trovandosi costantemente davanti ad un bivio: tenere a tutti i costi in vita le api per venderle agli agricoltori o salvargli la vita evitandogli l’impollinazione forzata?
Le cose sarebbero diverse per le api se, come ha fatto il poeta Kahlil Gibran, ci limitassimo a scrivere poeticamente di loro:
"Per l'ape, un fiore è la fonte della vita, e per il fiore, l'ape è un messaggero d'amore"
Crediti foto: Pixabay\Kevin Frayer
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