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  • Immagine del redattoreGloria Ferrari

“Se gli uomini potessero concepire, l'aborto diventerebbe un sacramento”


Rosa Hernández vive nella Repubblica Dominicana. Rosaura Almonte Hernández, sua figlia, aveva 16 anni quando si è ammalata di leucemia. All’inizio i medici le hanno negato la chemioterapia perché era incinta. Poi si sono rifiutati di interrompere la gravidanza perché vietato dalla legge. Nel 2012 "Esperancita", come gli amici chiamavano Rosaura, è morta. "Hanno lasciato morire mia figlia", ha detto la madre a Margaret Wurth, ricercatrice specializzata in diritti umani.


In Italia, la giunta dell’Umbria, guidata dalla leghista Donatella Tesei (una donna!), ha deciso di eliminare una legge regionale, entrata in vigore con la precedente amministrazione di centrosinistra, su un particolare tipo di aborto. La norma prevedeva la possibilità di mettere fine alla gravidanza con la pillola Ru486. La procedura poteva avvenire in day hospital o presso il proprio domicilio, seppur sotto stretta osservanza medica. Con le nuove disposizioni, invece, sarà possibile abortire farmacologicamente solo con un ricovero di tre giorni. Se da una parte la Tesei sostiene di averlo fatto per salvaguardare la salute delle donne, dall’altra è bene sapere che allungare i tempi comporta ulteriori rischi. “È un’attesa che crea delle ferite profonde perché l’aborto può generare in molte persone uno shock post-traumatico, con tanto di flashback ricorrenti, ansie e paure”, dice a DonnaModerna Donatella Marazziti, psichiatra dell’università di Pisa.



La credibilità della Tesei, però, vacilla quando si viene a conoscenza della sua vicinanza alle associazioni antiabortiste, e soprattutto se teniamo conto di una cosa. Si tratta della stessa persona che ad ottobre del 2019 firmava il “Manifesto Valoriale” di Family Day, in favore della tutela del nascituro. Aggiungiamo un altro elemento. Simone Pillon, convinto leghista, commissario della Lega in Umbria, ha immediatamente dato sostegno alla decisione della collega: “D’ora in poi gli interventi dovranno essere fatti in regime di ricovero ospedaliero, evitando che la donna sia di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi”. Sì, è lo stesso Simone Pillon che compare nella lista degli organizzatori del Family Day, uno dei portavoce delle principali battaglie dell’integralismo cattolico e accusato di aver offeso un'associazione LGBTQI di Perugia.

Se la speranza dei funzionari leghisti è quella di diminuire o scoraggiare in questo modo gli aborti, non è la strada giusta. È noto che nei paesi dove l’aborto è illegale o realizzabile affrontando decine di ostacoli, la pratica continua a svolgersi illegalmente, mettendo seriamente a rischio la vita di molte donne.



Lo stesso Pillon diceva pubblicamente nel 2018: “Via l’aborto, prima o poi in Italia faremo come in Argentina”. Quindi, per il Senatore, dovremmo prendere come esempio un paese dove è stato constatato che l’80% degli aborti è illegale e dove le ginecologhe raccontano di ragazze che muoiono di setticemia in letti di ospedale mentre altre vengono interrogate senza sosta dalla polizia che vuole sapere dove hanno abortito clandestinamente.

“Il primo pensiero va alle donne”, dice Saviano sui suoi social. “La decisione di abortire non è mai - e sottolineo mai - una decisione presa con leggerezza, non è mai indolore”. Figuriamoci se ci si aggiunge una buona dose di complicazioni burocratiche. Alcuni pensano che chi sceglie di abortire spontaneamente non prova, per questo, alcun sentimento. Si tratta, invece, di una decisione emotivamente sofferta in ogni caso e che si ripercuote su diversi aspetti della vita di una donna. Può capitare che interrompere una gravidanza abbia conseguenze anche sulla considerazione che si ha di sé e che si metta in discussione il proprio ruolo di figlia, ad esempio, o di madre futura, compagna e addirittura cittadina appartenente ad una comunità. Come dice la psicoterapeuta Claudia Ravaldi, “Molti studi sui traumi e sulle situazioni di perdita ci dicono che tra i requisiti necessari per superare l’evento in modo appropriato ci sono la disponibilità e l’accessibilità a risorse familiari, sociali, istituzionali: nel lutto dell’aborto questi requisiti spesso mancano, perché le risorse disponibili sono scarse, e spesso poco accessibili”. Per questo avere la possibilità di abortire in un contesto casalingo, come poteva avvenire con la Ru486 o evitando un lungo ricovero può fare la differenza.



Se l'aborto è vietato o subisce limitazioni a pagarne le conseguenze sono spesso le donne provenienti da comunità povere, emarginate, perché economicamente impossibilitate, ad esempio, a viaggiare in posti in cui la legge lo permette. Per capire di quante donne effettivamente stiamo parlando, basti pensare che dal 2017, il 42% di loro vive nei 125 paesi in cui l'aborto è fortemente limitato o vietato del tutto (o consentito solo in caso di rischio di morte). La situazione in molti paesi si è ulteriormente aggravata dopo l’arrivo del Coronavirus. L’Ohio, ad esempio, ha ordinato la chiusura di tutte le cliniche per l'aborto, reputandole non essenziali e sostenendo che tenerle aperte avrebbe significato togliere risorse mediche agli ospedali occupati con il COVID-19. Dall’altra parte, invece, davanti ad una situazione così nuova e inaspettata per la sanità pubblica, alcune strutture ospedaliere hanno cercato di “snellire” lunghe pratiche incrementando la telemedicina e altri strumenti online. Tali modi di operare si sarebbero potuti applicare anche ai casi di aborto. I medici, infatti, avrebbero potuto prescrivere a distanza i farmaci necessari all’interruzione di gravidanza, da assumere a casa.



Negare la possibilità di abortire equivale a negare un diritto. Seppur previsto dalla legge 194 del 1978, in Italia solo 6 strutture pubbliche su 10 sono adatte a farlo. Una delle cause principali è la grossa presenza di ginecologi contrari alla pratica. Sono in maggioranza e sfiorano il 70%. Valeria Dubini, ginecologa con alle spalle 25 anni di Ivg (interruzione volontaria di gravidanza) e consigliera della Società italiana ginecologia e ostetricia ha detto a DonnaModerna che “chi pratica aborti in ospedale spesso viene isolato dai colleghi. A volte la linea viene dettata dal primario: se è obiettore, più frequentemente sarà circondato da colleghi che rifiutano di praticare aborti. Occuparsi di Ivg non ha ricadute positive sulla carriera né dà adito a particolari riconoscimenti economici. Eppure è un lavoro prezioso, che non può essere riservato a pochi volontari”. Il clima ostile (o meno) a cui una donna va incontro prima di affrontare un aborto può essere determinante per la successiva ripresa e per evitare la nascita di complicazioni psicopatologiche. Questo comprende anche l’atteggiamento dei medici e dei sanitari.



L’aveva detto anche l’avvocato Sarah Weddington, la donna che a soli 26 anni vinceva davanti alla Corte Suprema (con 7 voti su 9) la sua lotta pro aborto: “Una gravidanza per una donna è forse uno degli aspetti più determinanti della sua vita. Le interrompe il corpo. Interrompe la sua educazione. A sua volta interrompe il suo impiego. E spesso interrompe la sua intera vita familiare”.


Teniamo a mente che il partito che ha scelto in Umbria di abrogare l’aborto in day hospital è lo stesso di Matteo Salvini che lunedì, mentre il presidente del Veneto Luca Zaia raccontava delle morti di neonati all’ospedale di Borgo Trento, a Verona, probabilmente causate da un batterio, mangiava delle ciliegie.



Un universo intero è racchiuso nelle parole dell’avvocatessa Flo Kennedy:

Se gli uomini potessero concepire, l'aborto diventerebbe un sacramento
 

Crediti foto: Unsplash\flickr


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